Giovanni Bonoldi
associazione dipoesia
Ho incontrato per la prima volta Mario Lodi nella seconda metà degli anni Settanta. Nella sua casa, a Piadena. Portato lì per un incontro del gruppo redazionale della “Biblioteca di Lavoro” di cui è stato ideatore (o co-ideatore) e responsabile, dall’amica Francesca Colombo che del collettivo faceva parte, esperta di editoria scolastica.
Umanità, disponibilità, generosità, socialità, ascolto, condivisione, ospitalità, amore e impegno per la scuola e il lavoro con i bambini, spirito e capacità progettuale, operosità, intelligenza speciale, apertura mentale, democrazia…. Non so perché mi sia venuto in mente di scrivere tutte queste parole, troppe, per dire quanto sia stato unico. Unico e splendente. Splendente di luce naturale. Come la sua casa, la sua vita, la sua famiglia.
Se penso a Mario mi vengono in mente, e mi commuovo. Mi illumino di un poco di luce riflessa. Era e rimane un faro, d’altronde. Un esempio. Ha coltivato il campo della cultura come un orto, come un contadino capace di lavorare sodo e di risparmiare le parole per quanto era e rimane davvero importante.
Cultura non ingombrante, questo mi viene in mente. Non ce ne sono tanti, di esempi e di esseri umani così.
Invitato da Milano in quanto appassionato di poesia contemporanea, in quel cerchio esattamente civile di umanità e competenze ho potuto realizzare uno dei Quaderni della “Biblioteca di Lavoro” dal titolo “Io sono una poesia”, frutto davvero di un lavoro-piacere di gruppo. Partecipato, condiviso. Anche nella parte visiva, grazie a Francesco Tonucci, “Frato”, altro componente del collettivo redazionale. Pubblicato nel 1978.
Sulla porta di casa Lodi, uscendo, ho ricevuto in dono un disegno della figlia Cosetta. Una cosetta di Cosetta. Piccola, grande.